Spiritualità e teologia

Le cinque piaghe della Santa Chiesa

Nella primavera del 1848 usciva anonimo a Lugano il trattato Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa. Sebbene l'opera fisse stata concepita e scritta concepita e scritta da Rosmini sedici anni prima, essa non rimase affatto estranea al clima carico di speranze del primo Quarantotto italiano. Rosmini guarda il corpo del Cristo crocifisso, vede le cinque ferite - delle mani, dei piedi e del costato - che lo deturpano, e il suo pensiero va alla chiesa. È essa che rinnova la presenza salvifica di Cristo nella storia, ma anche il suo corpo è segnato da piaghe che ne sfigurano i lineamenti.
La prima piaga della chiesa è la «divisione del popolo dal clero nel pubblico culto», ossia la separazione troppo netta venutasi a creare nel corso della storia tra ceto sacerdotale, esclusivo amministratore delle cose sacre, e fedeli laici, ridotti in stato di passività e soggezione. Ciò che è andato perduto, nota Rosmini, è il senso dell'altissima dignità che, nella chiesa primitiva, aveva la «plebe», chiamata ad essere «nel tempio del Signore, non solo spettatrice ma attrice» (Cinque piaghe, n. 21, p. 33). È necessario pertanto un recupero di consapevolezza e di partecipazione del popolo cristiano alla vita della chiesa e un definitivo superamento di ingiustificate logiche ecclesiali autoritarie ed escludenti.
L'«insufficiente educazione del clero» è la seconda piaga della chiesa. Essa ha la sua radice nell'infausta prassi, in cui erano incorse nel medioevo le gerarchie ecclesiastiche, di privilegiare le funzioni politiche, amministrative ed economiche, su quelle pastorali dell'evangelizzazione e della carità. Sensibile come pochi alle esigenze del pensiero e della cultura, Rosmini lamenta la triste condizione degli studi ecclesiastici del suo tempo e auspica che la chiesa, come avveniva nei tempi antichi, torni a formare sacerdoti di grande cuore e di grande spirito, capaci di promuovere l'intelligenza della fede e una conoscenza profonda delle Scritture.
L'analisi del processo di mondanizzazione della chiesa si fa serrata nell'esposizione della terza piaga, «che è la disunione de' Vescovi». Essa è provocata dall'«ambizione secolaresca», cioè dalla lotta senza esclusione di colpi per l'accaparramento della dignità episcopale, divenuta, a partire dall'età feudale, una garanzia di rendite, di privilegi, di onori, di interessi politici, e perciò fonte di laceranti conflitti tra i ceti più elevati della società e all'interno dello stesso corpo ecclesiale.
La quarta piaga è «la nomina de' Vescovi abbandonata al potere laicale». Ad essa Rosmini riserva poco meno della metà dell'intera sua opera, sviluppando una memorabile requisitoria contro l'asservimento dei vescovi al potere politico, e contro il loro distacco dal popolo cristiano, costretto ad accettare - in contrasto con l'originaria prassi ecclesiale - pastori sconosciuti ed estranei. Per questo Rosmini propone che le elezioni vescovili siano sottratte alle mani delle autorità politiche, e che in esse venga coinvolto in modo più significativo l'intero popolo cristiano. Il popolo, sosteneva Rosmini, «non ha diritto di eleggersi e darsi i propri pastori, il che appartiene al clero», ma «ha il diritto di avere de' pastori a lui ben accetti, i quali godano la sua stima e la sua confidenza» (Filosofia del diritto, IV, n. 920, p. 971). Prima della nomina episcopale è dunque doveroso un accertamento dell'esistenza di questi sentimenti di apprezzamento e di amicizia del popolo cristiano nei confronti del suo futuro pastore. Per questo il principio regolativo delle elezioni dovrebbe tornare ad essere quello della più antica ed autorevole tradizione ecclesiale, riassumibile nella seguente formula: «il clero giudice, il popolo consigliere» (Cinque piaghe, n. 77, p. 94). Solo così l'autorità episcopale potrà liberarsi dalla subordinazione ai poteri politici e mondani, e ritrovare il coraggio della libertà cristiana.
Vi è infine la quinta piaga, «la servitù de' beni ecclesiastici», cioè la schiavitù economica creata dall'assoggettamento dei patrimoni della chiesa a finalità diverse dalle uniche due legittime: il sostentamento del clero e l'aiuto ai poveri. Il processo di mondanizzazione provocato dal feudalesimo ha fatto smarrire il senso della povertà, così radicato nella chiesa primitiva: «Cristo avea fondato l'apostolato sulla povertà [...]. Così l'entrare nel Clero, ne' bei tempi della Chiesa, equivaleva ad una professione di evangelica povertà [e] il Vescovo era il primo fra i poveri. [...] La Chiesa primitiva era povera, ma libera: la persecuzione non toglieva la libertà del suo reggimento: né pure lo spoglio violento de' suoi beni pregiudicava punto alla sua vera libertà» (Cinque piaghe, n. 133, 151, pp. 183, 193-94).
Il potere mondano, dice Rosmini, nuoce sempre alla chiesa, non solo «colla violenza delle predazioni», ma anche e soprattutto «colle sue stesse liberalità [...], le sue grazie, le sue carezze». Esso mette in pericolo la chiesa quando la «arricchisce [...] di privilegi e d'immunità, di una protezione esagerata ed eccezionale, talora contro giustizia» (Cinque piaghe, n. 160, pp. 201-202). Un'epoca nuova si può aprire per la chiesa. È giunto il momento di capire «che è scoccata l'ora in cui l'impoverire la Chiesa è un salvarla» (Cinque piaghe, n. 73, p. 91). Per svolgere la sua missione e rimanere fedele alla sua natura, la chiesa non ha bisogno di favori economici o di privilegi, ha bisogno solo della sua libertà.
(M. DOSSI, Il santo proibito. Il Margine, Trento 2007, pp. 126-138)
 

- Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, a cura di Alfeo Valle, Città Nuova, Roma 1981
- Filosofia del diritto, a cura di Rinaldo Orecchia, 6 voll., Cedam, Padova, 1967-1969