Spiritualità e teologia

Il pensiero spirituale e la perfezione cristiana

Pubblicate nel 1830, le Massime di perfezione cristiana rappresentano una delle migliori sintesi degli elementi più caratteristici della spiritualità rosminiana. Il linguaggio, semplice ed immediato come si conviene ad uno scritto di meditazione rivolto a tutti, consente un approccio diretto al testo anche da parte del lettore contemporaneo, il quale tuttavia non deve lasciarsi fuorviare dall'apparente facilità del dettato, che nasconde una notevole complessità e ricchezza di motivi. L'esordio mette in chiaro che la perfezione evangelica non è affare riservato a pochi specialisti dello spirito, ma è una realtà alla portata di tutti i cristiani. Essa «consiste nella piena esecuzione de' due precetti della carità di Dio e del prossimo» (Massime di perfezione, 2, p. 33). La perfezione cristiana non è dunque altro che «perfezione di amore», «carità perfetta» (Massime di perfezione, 3, p. 33 e 7, p. 34). Le sei «massime» che Rosmini andrà via via presentando sono le tappe di realizzazione di tale perfezione.
La prima massima richiede al cristiano di coltivare sempre con intensità dentro di sé l'infinito mistero dell'amore Dio, senza lasciare che il suo spirito venga imprigionato dalla forza attrattiva delle cose puramente mondane: «Non bisognerà già che si smarrisca il cristiano né punto né poco, o che s'arresti, se le cose esterne fanno la loro impressione sopra di lui; ma egli dee ricorrere alla concentrazione del suo cuore, e ivi ripristinare senza posa il desiderio [...] di esser caro a Dio infinitamente» (Massime di perfezione, 7 e 10, pp. 39-40).
La seconda massima vuole che il cristiano alimenti il suo amore verso la chiesa pensandola sempre come realtà voluta e amata da Dio. La chiesa è la comunità dei cristiani radicata nella successione apostolica e fondata sul primato di Pietro. Essa non può essere amata se la si considera solo in qualche sua espressione parziale e limitata. La perfezione cristiana non richiede che tutto ciò che sta nella chiesa debba essere amato, ma che sia amata la chiesa nella sua totalità essenziale. Il cristiano «dee dare i suoi affetti a tutta intera l'immacolata sposa di Gesù Cristo, ma non così a tutto ciò che potrebbe formarne una parte» (Massime di perfezione, 4, p. 41).
La terza massima completa la precedente suggerendo al cristiano di allontanare da sé ogni zelo eccessivo per i destini della chiesa. Anche quando «gli avvenimenti paressero contrari al bene della chiesa», egli deve «godere una perfetta tranquillità, e conservare un gaudio pieno». Il cristiano sa infatti che la chiesa non è un'istituzione puramente storica affidata alle cure dell'uomo, ma è e rimane sempre una realtà misteriosa sostenuta e guidata dallo stesso Spirito di Dio. Ciò non vieta in assoluto che si possa intervenire per porre rimedio ai mali presenti nella chiesa, purché lo si faccia nei dovuti modi e solo di fronte alla «manifesta volontà del Signore» (Massime di perfezioene, 2, p. 45).
La quarta massima è quella della tranquillità, e vuole dal cristiano la totale libertà da ogni forma di nervosismo e di ansia. Il ricco insensato del Vangelo, travolto dai suoi progetti e dalle sue preoccupazioni per il domani, finisce col perdere tutto. Gli uccelli del cielo e i gigli del campo, senza seminare, né mietere, né filare, né tessere hanno invece ogni giorno da Dio cibo e vestito. Rosmini non vuole esaltare la pigrizia o l'inattività. Questa massima non vieta al cristiano l'azione e l'impegno. Ciò che vieta è «la sollecitudine», «l'ansietà», «la preoccupazione» che troppo spesso accompagnano l'azione. (Massime di perfezione, 16, pp. 51-52).
La quinta massima invita il cristiano né più né meno che a «riconoscere intimamente il proprio nulla», la propria «infermità» e «nichilità», e a farlo non in modo generico e sentimentale, ma con la massima lucidità e metodicità: «Il cristiano dee avere scritte nella mente le ragioni del suo nulla: prima quelle che provano il nulla di tutte le cose; poi quelle che umiliano specialmente l'uomo; in terzo luogo quelle che umiliano la sua persona» (Massime di perfezione, 3, p. 55).
L'ultima massima, la sesta, è giustamente considerata quella più tipicamente rosminiana, con il suo appello a «disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza» (Massime di perfezione, p. 59). Il cristianesimo rosminiano è sempre un cristianesimo anche dell'intelligenza. La quale però non va intesa qui come virtù dei dotti e dei sapienti, ma come capacità di vedere l'essenziale. La perfezione evangelica richiede al cristiano che egli sappia vedere essenzialmente due cose: il proprio personale bisogno di conversione all'amore di Dio e l'appello che viene dalle necessità degli altri uomini. Per sua natura il cristiano vive «una vita nascosta, ritirata da' pericoli e dagli uomini». Da questo «suo nascondiglio, amato da lui non per inerzia, ma per sincera umiltà», deve essere sempre pronto a venir «tratto fuori» dalla riconosciuta volontà di Dio, per impegnarsi anche nella «vita attiva», accettando così di vivere «immerso anche [...] in un infinito pelago di cure, di brighe, faccende e negozi grandi e piccoli, illustri e abbietti, per bene del prossimo suo» (Massime di perfezione, 17, pp. 62-63).
(M. DOSSI, Il santo proibito. Il Margine, Trento 2007, pp. 54-59)
 

- Massime di perfezione cristiana, a cura di Alfeo Valle, Città Nuova, Roma 1976