I Rosmini di Rialto

Nicolò (1615-1683) il vecchio

Figlio secondogenito di Cristoforo Antonio Rosmini e di Antonia Prosser appena trentenne avviò una sua attività commerciale nel settore della seta, nella produzione e lavorazione in loco della seta e soprattutto nella sua commercializzazione in tutta Europa. Il suo spiccato senso degli affari gli permise ben presto di emergere sul mercato sia in proprio con la sua ditta, sia attraverso società commerciali costituite insieme ad altri produttori e mercanti roveretani come Giovanni Pizzini, Paolo Liberi e Giacomo Keller.
Nicolò viveva con la moglie Dorotea nella sua casa di proprietà in contrada di Rialto. La coppia, divenuta nel giro di pochi decenni una delle più facoltose di Rovereto, non aveva figli. Ciò non impedì a Nicolò di coltivare e di perseguire tenacemente il sogno di coronare la propria ascesa economica e sociale con il sigillo di un diploma nobiliare, che consentisse a lui e alla famiglia di fregiarsi di un titolo e di uno stemma e di entrare nella Rovereto che più contava, quella dei "rentiers" e dei potenti ceti dirigenti locali. Verso il 1670 Nicolò intravide la possibilità di realizzare la sua ambizione attraverso una lettura favorevole del testamento dettato nel 1605 da Panfilo Resmini, esponente del ramo nobile della casata (quello dei Rosmini Panfili nobilitato nel 1574 da Massimiliano II), dal quale risultava ipotizzabile l'agnazione di Cristoforo Rosmini dalla linea dei Rosmini Panfili, e dunque l'estensione del titolo ai figli di Cristoforo, vale a dire Nicolò stesso e i discendenti del fratello Antonio, morto l'anno prima. Così ritenne la cancelleria imperiale, che il 29 maggio 1672 concesse il diploma di nobilitazione (o meglio, di estensione del titolo nobiliare Rosmini) all'intera linea di Cristoforo Rosmini, assegnando a tutti gli interessati il diritto di trasmettere agli eredi il titolo e lo stemma costituito da sei stelle su scudo blu con margine rosso.
Da questa decisione scaturì una conflittualità latente con la linea dei Rosmini-Panfili (Resmini), inasprita dal progressivo declino di questi ultimi e destinata a riemergere periodicamente. Ed inoltre grazie alla decisione di Nicolò il vecchio di investire sui discendenti del fratello, anche le linee discendenti da Cristoforo Rosmini (Rosmini di Rialto, Rosmini «alle Salesiane», Rosmini Serbati) poterono vantare un titolo nobiliare e una conseguente classificazione all'interno della società roveretana.
Grazie a Nicolò il vecchio e alla sua intelligente accumulazione di ricchezze liquide la famiglia poté disporre delle solide basi economiche necessarie a intraprendere una politica di progressivo allontanamento dall'attività mercantile e di costituzione di un ampio patrimonio in beni mobili, immobili e rendite, certamente più consono al nuovo ruolo sociale e politico. Ormai anziano, capofamiglia riconosciuto, prima della morte avvenuta nel 1683, Nicolò dettò due testamenti nei quali lasciava i propri averi a nipoti e pronipoti: una parte dell' eredità, consistente in buona parte delle rendite e soprattutto l'avviata e florida attività mercantile, toccò a Nicolò, figlio del nipote Francesco.